Pubblicazione - Equilibrio di Fabio De Poli
Fabio De Poli non è mai stato compatto, tutto d’un pezzo, banale o di facile interpretazione, dietro la sua apparenza leggera e disponibile si cela la complessità conturbante che con disimpegno e scioltezza gli consente di dialogare col mondo intero. Fa parte di un’èlite estetizzante con variazioni di vita fiammeggiante che si uniscono alla capacità di acuta osservazione concedendosi di tanto in tanto il lampo critico perfetto. È sempre all’altezza delle aspettative, soprattutto quando l›aspettativa è indefinita. Non ama soffermarsi sulle questioni che tormentano gli umani, le sue “diagnosi” sono lampanti definizioni con messa a fuoco clamorosa, le sue provocazioni hanno l’obiettivo di risvegliare la vera intelligenza. Intuisce sempre quello che sta per accadere, possiede infatti la capacità di anticipare eventi ed azioni, il suo animo è continuamente sorretto dal desiderio di realizzare qualcosa di poderoso e improvviso che sorprenda. Non gli piace chi cincischia, chi perde tempo, chi gira intorno ad un’idea senza partire deciso, lui ama chi si espone con coraggio, chi dice quello che pensa in modo chiaro, chi crede senza preoccuparsi delle conseguenze, solo dinanzi a ciò concede ammirazione autentica. Ha il pallino della forma, un’estetica della perfezione che conquista il suo culmine quando smonta tutte le idee di perfezione precedenti, perché per De Poli l’ideale è un divenire che quando sopraggiunge e già perduto e l’applaudirlo troppo, l’esaltarlo sarebbe come tradirlo. Imperdonabile. Capisce al volo grazie alla sua intuizione e al suo ragionamento sempre sottili e precisi. A De Poli non occorre la forza dell’argomentazione potente per spogliare e lasciare nude le sue convinzioni, interviene sempre con un silenzio o una mezza parola, che non arriva diretta ma di taglio, come un laser che frantuma le falsità. Acume geometrico, sottile assenza di palpitazione romantica e desiderio di ordine sotto il caos sono le caratteristiche che denotano la sua pittura. Difficile per un pittore rendersi più socievole di quanto lui continuamente riesca ad essere. Mondano, pigro, a volte snob è luminosamente capace di essere ospite e al tempo stesso padrone assoluto di uno spazio mai usurpato, uno spazio che possa appartenere alla parola, al cibo e al buon bere che De Poli riesce sempre a governare con discrezione e maestria. Coltiva parallelamente l’arte di essere marginale e indispensabile. Sebbene sia nato a Genova, è Firenze la città che lo ha accolto e distrattamente amato e ricambia il sentimento percorrendone i luoghi e conoscendone le infinite sfumature. Non c’è in lui nessun residuo convenzionale, nessuna posa, non si è mai fregiato del titolo di artista, lo è. Comprende la sostanza e gli esiti della pittura come fossero il distillato di un mestiere, di una tecnica: il compimento di un’antica fatica travestita di leggerezza. De Poli opera sostenuto da un’idea dell’arte che cerca dentro di se i motivi della propria esistenza. La pittura è il campo dentro cui manualità e concetto trovano un equilibrio, il piacere di poter accompagnare il quadro con il preventivo distacco dell’ironia. L’opera di De Poli si offre allo sguardo in una doppia valenza: come sostanza pittorica e come forma mentale. La sua mobilità produttiva nasce dalla pulsione di aggirare la geometria di ogni oggetto fissato ad un’idea del mondo. Figure ironiche, timbri forti, colori accesi scorrono sulla superficie della tela secondo i dettami della sua sensibilità. Le singole opere diventano soste silenziose nel luogo dello stile, tutto permette a De Poli di trovare identità attraverso il fare. La cura del particolare e di piccole scene denota una coscienza della precarietà che lo portano ad operare facilmente sull’uso transitorio della pittura espressiva che poggia sull’oscillazione della sua pulsione creativa e disinibita. La sua arte è partire dalla catastrofe, approfittare della perdita di significati per produrre una sana deriva creativa pronta a transitare in ogni luogo che sia questo comune o proibito. De Poli ribadisce il suo essere strumento di rappresentazione, l’esecutore di una capacità espressiva fatta di memoria culturale direttamente proporzionale alla velocità di vita del proprio tempo che permette sopravvivenza soltanto alle attività produttive capaci di agire in sintonia con essa. Per De Poli l’opera deve essere sottratta al monopolio del puro sguardo e destinata all’attenzione di un pubblico che vuole tenere la memoria sotto il dominio del presente.