Fotografia Minutera Itinerante alla 107° Foire de Chatou
date » 10-10-2024 17:24
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"La pittoresca storia di questa manifestazione conferisce il colore e lo spirito a questa grande fiera dell'antiquariato.
La Fiera dei Prosciutti è nata spontaneamente nel Medioevo, probabilmente anche prima, poiché la Francia ha una lunga tradizione di salumi. Era la grande specialità gallica. Le mandrie di maiali gallici suscitavano l'ammirazione dei Romani che citavano con entusiasmo il prosciutto di Bayonne, i salumi della Cerdagna, della Franche-Comté... Fino al XIX secolo, il maiale fu l'alimento base dei cenoni di Natale: era il re della festa sia tra i contadini che tra i borghesi e i nobili. Nel corso del Medioevo, i salumieri di tutte le province presero l'abitudine di venire a Parigi durante la Settimana Santa per vendere le loro carni preparate. Si stabilirono dove c'erano più clienti, intorno a Notre-Dame, sicuri di avere come clienti affezionati coloro che assistevano alle funzioni religiose. I mercanti erano sempre più numerosi perché la professione di salumiere era libera. La libertà di circolazione concessa ai maiali fu soppressa dal re Luigi il Grosso, suo figlio Filippo avendo fatto una caduta da cavallo mortale causata da un maiale. Solo gli "antonini", appartenenti ai monaci di Sant'Antonio, furono ancora ammessi a circolare. Tutti gli altri venivano raccolti e dati all'Hôtel-Dieu per i malati. Nel 1451, si iniziò a regolamentare questa Fiera del Lardo e le carni scadute venivano gettate nella Senna. A partire dal 1500, divenne troppo importante per la sua posizione e, nel corso degli anni successivi, la Fiera si trasferì successivamente in rue des Prouvaires, Place de l'Hôtel de Ville, Place de la Morgue (oggi Place de la Concorde).
Nel 1789 e durante la Rivoluzione e il Terrore, la Fiera del Lardo scomparve.
Nel 1804, un decreto la fece rivivere con il nome di Fiera dei Prosciutti, tornò vicino a Notre-Dame e Place de la Cité.
Nel 1813, un'ordinanza la mandò al Quai de la Vallée (oggi Quai des Grands-Augustins); nel 1832, si trasferì in rue du Faubourg Saint-Martin al posto dell'antico magazzino dei foraggi. Infine, nel 1840, la Fiera si stabilizzò in boulevard Bourdon. Si unirono a essa numerosi venditori di oggetti usati, vecchi vestiti, vecchie ferraglie. Era nata la Fiera della Ferraglia e il suo destino fu da allora legato a quello della Fiera dei Prosciutti, che presto superò in importanza.
Nel 1869, un decreto della polizia trasferì i due mercati in boulevard Richard-Lenoir, che non avrebbero più dovuto lasciare per quasi un secolo, dalla domenica delle Palme alla domenica di Pasqua fino al 1940, poi dopo la guerra due volte l'anno, in primavera e in autunno. Sottostanti, i problemi di ubicazione, di accesso, di circolazione riemergono di nuovo. Si prese coscienza di una imminente mutazione. Il Sindacato Nazionale del Commercio dell'Antiquariato e dell'Usato presenterà numerosi progetti di trasferimento. Tutto fu rimandato." Foire de Chatou
Minutera itinerante a Tutti Matti per Colorno 2024
Minutera Itinerante alla Deriva è stata scelta tra più di 200 compagnie di artisti attraverso un bando pubblico per partecipare alla Scena OFF di Tutti Matti per Colorno 2024.
Ritratti ai sali d'argento
di Maria Di Pietro e Felisia Toscano
In un vivere continuo di immagini che si susseguono, spesso futili e fuggevoli nell’astratto di archivi che si smaterializzano, avere tra le mani una fotografia è come avere una certezza meno fragile. La fotografia minutera è un modo per creare un punto fermo nella vita delle persone. Non sei tu a cercare, a chiedere, è l’altro che viene verso di te, si ferma e posa. Quel che accade con la fotografia di strada accade nell’ora, adesso, si depongono le energie della corsa, del frenetico e del fuggevole senza ascolto, a prendere forma l’esserci in questo momento in connessione con sé stessi. La fotografia come arte per conoscere se stesso e l'altro.
"I nostri ritratti vengono realizzati al momento in una piccola scatola di legno che è la nostra macchina fotografica istantanea itinerante. Attraverso l’obiettivo la luce va ad imprimere la fotografia su una carta ai sali d’argento, nel momento stesso in cui nasce la stampa da quella scatola magica si afferma la propria esistenza, la necessità, il bisogno di svelarla al mondo. Il fascino, il mistero, misterioso seppur svelato, sembra quasi una magia realizzata da un artista del gioco, quelli di magia, funamboli, sognatori e sognatrici… una mano si muove all’interno della scatola, e ad uscirne è una fotografia, unica e irripetibile.”
Patti Smith a Mantova: poesia e salvezza
Un concerto che ha travalicato i confini della musica, trasformandosi in un vero e proprio atto di speranza, di riflessione sull’arte e di libertà. Patti Smith, la sacerdotessa del rock, ha incantato il pubblico mantovano con un’esibizione che ha toccato le corde più profonde dell’anima. La scaletta, un viaggio attraverso la sua lunga carriera, ha offerto un mix perfetto di brani storici e gemme meno conosciute. L’apertura con “Ghost” ha subito creato un’atmosfera sospesa e malinconica, mentre “Summer Cannibals” ha infuso un’energia primitiva e vitale che ha subito trascinato il pubblico ad un abbraccio circolare pieno di passione. Ma è stato durante l’esecuzione di brani come “Redondo” e “Black Coat” che l’emozione ha raggiunto il culmine. Dedicati rispettivamente a Fred “Sonic” Smith e a Arthur Rimbaud, questi brani hanno rivelato l’anima più intima e profonda dell’artista. I suoi occhi chiusi, le mani che danzavano lievi a disegnare musica e vita. Un tocco particolarmente emozionante è stato l’omaggio a due figure iconiche: Pier Paolo Pasolini e Kurt Cobain. Con la sua voce graffiante, Patti Smith ha interpretato una poesia di Pasolini, trasformandola in un canto intenso e struggente. A Cobain, invece, ha dedicato una versione intensa e personale di uno dei suoi brani più celebri, sottolineando l’importanza della sua eredità musicale. Non poteva mancare un appello alla pace, la stessa che si invocava in passato, che ancora oggi si ha necessità di implorare… Patti Smith ha colto l’occasione per lanciare un messaggio forte e chiaro contro la violenza e le guerre che affliggono il mondo. Attraverso le sue canzoni e le sue parole,ha invitato il pubblico a riflettere sul valore della pace, dell’amore e della solidarietà, senza banalità, ma un sentire ad occhi chiusi vibrando sulla pelle di ognuno. “Utilizziamo il Potere per creare un mondo migliore”. Le ultime canzoni, “Dancing”, “Poem Peaceable”, “Pissing Teen Sarit” e la conclusiva “People”, sono state un inno alla vita, alla libertà e alla speranza. Un invito a non perdere mai la fiducia nel futuro e a continuare a lottare per un mondo più giusto e equo. La sacerdotessa del rock, ha incantato tutti e tutte, con un concerto che ha trovato la sua naturale cornice nell’inaugurazione della mostra “Picasso: Poesia e Salvezza”. La scelta di far coincidere il concerto di Patti Smith con l’apertura della mostra dedicata a Picasso non è stata casuale. Entrambi gli artisti, pur appartenendo a generazioni e a linguaggi espressivi diversi, condividono una profonda passione per la poesia, la libertà creativa e la ricerca di un senso più profondo dell’esistenza. La sua eredità artistica continua a ispirare nuove generazioni di musicisti e poeti. La sua voce, rauca e graffiata, è un invito a non conformarsi, a seguire i propri sogni e a lottare per ciò in cui si crede. In un mondo sempre più complesso e frammentato, la musica di Patti Smith rappresenta un faro di luce, un invito a ritrovare la nostra umanità e a costruire un futuro migliore per tutti. La sua musica, come l’arte di Picasso, rappresentano un messaggio di speranza e di unità. Entrambi gli artisti, attraverso le loro opere, ci invitano a guardare oltre le apparenze, a cercare la bellezza nelle cose semplici e a credere in un futuro migliore. Il concerto di Mantova è stato un’esperienza indimenticabile, un momento in cui la musica e l’arte si sono fuse in un abbraccio perfetto, dando vita ad un’emozione che rimarrà per sempre nel cuore di chi ha avuto la fortuna di esserci.
Noi eravamo lì, e come per magia, siamo ancora travolte da ogni vibrazione della sua voce.
Testo e foto Maria Di Pietro e Felisia Toscano
Alla scoperta della Cupola cinquecentesca del Vasari a Pistoia
date » 17-07-2024 12:56
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La redazione di Arteventi news ha avuto la possibilità di vivere un’esperienza emozionante per la realizzazione di uno speciale sulla Cupola della Basilica della Madonna dell’Umiltà di Pistoia.
Un capolavoro architettonico che abbiamo avuto potuto di ammirare a partire dalla prima pietra che riporta la data del 1492 e che è visibile sulla parete esterna della Basilica.
Il percorso inizia in una piccola porticina in cui è necessario abbassarsi per entrare, quasi come se si fosse all’interno di un passaggio segreto, ci si ritrova dinanzi ad una scala a chiocciola che ci condurrà verso la sommità. La struttura ottagonale della cupola, con le sue nervature e le sue vele, è un esempio di architettura rinascimentale, ogni elemento è curato nei minimi dettagli e poter fare questo percorso è stato un vero e proprio viaggio nel tempo, dove si percepisce la grandezza del passato, la maestria degli antichi costruttori, la devozione dei fedeli che per secoli hanno pregato sotto questa volta celeste.
Il nostro “viaggio” che inizialmente prevede una scala a chiocciola che ci conduce al primo piano, ci da la possibilità di vedere dall’alto l’intero della Basilica; ma, è dopo la vista dell’antico organo che il percorso diventa più complicato snodandosi tra gradini alti, piccoli corridoi poco luminosi, passaggi stretti ed angusti mentre con mano continuiamo a toccare e a respirare il cinquecento.
Siamo curiosi e stupiti del percorso che stiamo facendo e man mano che ci avviciniamo, cresce l’emozione nel vedere sotto i nostri occhi un pezzo di storia della città pistoiese.
Nella parte finale, l’inclinazione è tale che per proseguire la salita dobbiamo percorrere dei gradini inclinati, si ha quasi la sensazione di abbracciare la cupola mentre ci avviciniamo… ad attenderci un’ultima scala che ci condurrà ad una piccola botola, ed è proprio lì la meraviglia, praticamente la botola si apre direttamente sulla lanterna in cima alla cupola, appena mettiamo il piede sull’ultimo gradino con gli occhi vediamo la città che si dispiega sotto di noi come un quadro dipinto, offrendo scorci suggestivi, i tetti di tegole rosse, il campanile svettante, il marmo bianco del Battistero, ogni dettaglio è ricoperto di bellezza. Percorriamo la lanterna in un girotondo rimanendo senza fiato con l’unica considerazione che la vera meraviglia è la cupola stessa, un’opera d’arte a cielo aperto, dove l’ingegno del Vasari si è intrecciato con la maestria dei costruttori toscani.
A quel punto con gli occhi pieni di arte e di bellezza riprendiamo la discesa che per alcuni versi è stata quasi più complicata della salita… ma ricchi dell’esperienza fatta e con la speranza che tutti coloro che si occupano della salvaguardia, tutela e conservazione della Cupola possano realizzare un progetto di valorizzazione per permettere ai pistoiesi e ai cittadini di tutto il mondo di poter vivere questa meravigliosa esperienza.
Testo di Felisia Toscano
Foto di Maria Di Pietro
Louise Bourgeois: un viaggio nelle profondità della psiche umana
Il Museo Novecento di Firenze ospita attualmente una grande mostra dedicata alla vita e all’opera di Louise Bourgeois, una delle artiste più influenti del XX e XXI secolo. La mostra, intitolata Louise Bourgeois – Do Not Abandon me, è una retrospettiva completa che ripercorre i sette decenni di carriera dell’artista, presentando oltre 100 opere, tra cui sculture, disegni, installazioni e gouaches.
Bourgeois è stata una pioniera nell’esplorazione di temi personali ed emotivi nell’arte, utilizzando il suo lavoro per scavare nelle profondità della psiche umana. Le sue opere sono note per il loro potere viscerale e la capacità di evocare una vasta gamma di emozioni, dalla paura all’ansia, dall’amore alla nostalgia. Trae ispirazione dalle sue stesse esperienze di traumi infantili e perdite, ha frequentemente esplorato temi come l’abbandono, il tradimento e la ricerca dell’amore e dell’accettazione. La sua opera è una testimonianza della resilienza dello spirito umano e del potere dell’arte di guarire e trasformare. La mostra è un’occasione rara per vedere una panoramica completa del lavoro di Bourgeois e per acquisire una comprensione più profonda del suo processo artistico e del suo impatto sul mondo dell’arte.
Sono varie le sezioni presenti nel percorso espositivo: “il corpo”, dove esplora la forma umana, spesso in modi frammentati o distorti, analizzando le proprie lotte con l’immagine del corpo e il suo fascino per la fisicità dell’esistenza; la sezione “la cella”, dove si concentra sulle iconiche installazioni cellulari di Bourgeois, che ha creato come spazi sia di confinamento che di introspezione. Questi ambienti claustrofobici e inquietanti riflettono le proprie esperienze di trauma e isolamento dell’artista. La terza sezione, intitolata “il ragno”, è dedicata alle sculture di ragni di Bourgeois, che sono diventate uno dei suoi motivi più riconoscibili. Queste opere sono spesso viste come simboli di protezione, potere e creatività; la quarta e ultima sezione, è intitolata “la femme-enfant” e presenta opere che esplorano il rapporto tra madri e figli, opere spesso tenere e toccanti che riflettono il complesso rapporto di Louise con sua madre. Il lavoro di Bourgeois è profondamente commovente, e questa mostra offre uno sguardo completo sulla sua vita e sul suo processo creativo, offrendo ai visitatori un’esperienza profonda e stimolante.
Testo di Felisia Toscano
Foto di Maria Di Pietro
Pop Art Italiana a Pistoia: un viaggio cromatico negli Anni 60
Gli amanti dell’arte pop avranno l’occasione di immergersi in un vortice di colori e immagini iconiche grazie alla mostra “60 Pop Art Italia” allestita presso Palazzo Buontalenti a Pistoia. Dal 16 marzo al 14 luglio 2024, la mostra celebra la vivace scena artisticaitaliana degli anni ’60, un periodo di grande fermento culturale e sociale che ha visto l’esplosione della Pop Art.
Curata da Walter Guadagnini, l’esposizione presenta oltre 70 opere provenienti da importanti musei e collezioni private, offrendo una panoramica completa del movimento in Italia. Tra i protagonisti troviamo maestri affermati come Mario Schifano, Tano Festa, Franco Angeli, Mimmo Rotella e Mario Ceroli.
Le opere in mostra spaziano da celebri rivisitazioni di immagini popolari a riflessioni più profonde sulla società e la cultura di massa.
Tra i pezzi iconici troviamo la “Marilyn” di Roberto Crippa, i rebus di Renato Mambor e i celebri manifesti di Mimmo Rotella.
Non mancano inoltre opere di artisti legati alla Scuola di Pistoia, un importante centro di sperimentazione artistica negli anni ’60.
“60 Pop Art Italia” non è solo una mostra, ma un vero e proprio viaggio nel tempo che ci riporta in un’epoca di grandi cambiamenti e innovazioni. E’ un’occasione imperdibile per ammirare capolavori assoluti dell’arte pop italiana e per approfondire la conoscenza di un movimento che ha segnato profondamente la storia dell’arte del Novecento.
Testo e foto di Felisia Toscano
Un viaggio attraverso la fotografia senza tempo di Mimmo Jodice
date » 15-04-2024 00:06
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Le sale di Villa Bardini a Firenze ospitano una mostra imperdibile per gli amanti della fotografia: "Mimmo Jodice. Senza Tempo". Un'antologica che ripercorre la straordinaria carriera di questo maestro italiano, attraverso ottanta opere che spaziano dai suoi esordi negli anni Sessanta fino ai lavori più recenti.
La sua cifra stilistica è inconfondibile: immagini in bianco e nero, spesso caratterizzate da contrasti netti e giochi di luce e ombre, che catturano l'essenza del soggetto con una poetica senza tempo.
La mostra a Villa Bardini è un'occasione unica per ammirare alcuni dei suoi capolavori più celebri, oltre ad un omaggio a Michelangelo con le immagini scattate alla fine degli anni ottanta alle sculture presso le Cappelle Medicee.
Questa mostra rientra nel progetto “La Grande Fotografia Italiana” delle Gallerie d’Italia, che ha visto precedentemente protagonista Lisetta Carmi.
Le fotografie di Jodice non si limitano a documentare la realtà, ma invitano l'osservatore a una riflessione profonda. I suoi scatti catturano l'attimo fuggente, ma allo stesso tempo ci parlano di temi universali come la bellezza, la memoria, il tempo che passa.
"Mimmo Jodice. Senza Tempo" è una mostra che non deluderà gli appassionati di fotografia. Un'occasione imperdibile per immergersi nel mondo di questo grande maestro e scoprire la sua visione poetica.
Mimmo Jodice nasce a Napoli nel 1934, dove vive e lavora tutt'oggi. Si avvicina alla fotografia negli anni '50, frequentando il Circolo Fotografico Napoletano. Negli anni '60, le sue prime esposizioni lo fanno emergere come figura di spicco della fotografia italiana d’avanguardia. La sua ricerca fotografica si concentra sulla realtà urbana, con un occhio di particolare attenzione per la sua città natale, Napoli. Jodice cattura immagini di paesaggi, architetture e persone, utilizzando spesso inquadrature inusuali e giochi di luce e ombre per creare immagini poetiche e suggestive. Nel corso della sua carriera, Jodice ha collaborato con alcuni dei più importanti artisti e intellettuali del suo tempo, ha anche realizzato diversi reportage fotografici, è considerato uno dei maestri della fotografia italiana contemporanea. Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui il Premio Nadar nel 1994 e il Targa d'Oro al Premio BFI di Londra nel 2008.
Le sue fotografie sono esposte in importanti musei e collezioni d'arte di tutto il mondo.
Testo e foto di Felisia Toscano
Sylvain Bellenger: conferenza di saluti a Capodimonte
date » 15-04-2024 00:04
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Il prestigioso Museo di Capodimonte ha recentemente ospitato un evento straordinario: la conferenza di saluto tenuta da Sylvain Bellenger, il Direttore che ha guidato il museo per otto anni. Durante questa occasione, Bellenger ha presentato il suo nuovo libro Capodimonte 2015/2023 – Otto anni con Sylvain Bellenger, una testimonianza affascinante della sua esperienza e delle sfide affrontate nel corso del suo mandato. La conferenza, tenutasi in uno dei saloni affrescati del museo, ha attirato un pubblico diversificato di appassionati d’arte, accademici e semplici curiosi desiderosi di conoscere la prospettiva unica di Bellenger sulla direzione di uno dei musei più importanti d’Italia. Il Direttore ha iniziato il suo discorso con una riflessione sulle ricchezze artistiche di Capodimonte, sottolineando l’importanza di preservare e promuovere il patrimonio culturale della regione. Ha parlato delle numerose mostre e iniziative che hanno caratterizzato il suo mandato, enfatizzando la sua dedizione a rendere il museo accessibile a un pubblico più ampio e diversificato. Il volume realizzato per raccontare l’esperienza napoletana offre una visione approfondita del dietro le quinte, evidenziando i momenti di gioia, le sfide impreviste e le decisioni difficili che ha dovuto affrontare nel corso degli anni. Il Direttore ha commentato così ai microfoni Rai il tempo trascorso qui “questi otto anni per me sono stati otto minuti”, sottolineando l’importanza continuare a creare connessioni sempre più forti tra il museo e la comunità locale, incoraggiando la partecipazione attiva degli abitanti di Napoli e dei visitatori internazionali. La conferenza si è conclusa con l’augurio, per Capodimonte e per la città, di valorizzare sempre più uno dei musei più importanti d’Italia.
Testo di Felisia Toscano
Foto di Maria Di Pietro
Mario Carnicelli: incontro tra fotografie e racconti
date » 05-06-2024 13:45
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Andare a casa di Mario Carnicelli, significa oltrepassare la soglia del confine tra una mostra fotografica e la storia di quegli scatti.
Vuol dire sedersi ed entrare nel suo mondo, quello del viaggio in America, quello dei funerali di Togliatti, quello del racconto, del documento, dell’archivio. Guardarsi intorno e vedere sulle pareti dai colori caldi stampe degli anni 60′ e 70′ e riflettere su quanto il bianco e nero sia ancora contemporaneo, così “presente” da farti entrare in punta di piedi nella sua fotografia.
Tra gli scatti di Togliatti, incuriosita chiedo a Mario: qual è la tua fotografia prima di questa importante documentazione?
Mario, sorride: “La mia fotografia è sempre la stessa, è l’umanità. Sin da ragazzo, quando ho iniziato a fotografare mi soffermavo sulla figura dell’uomo. E’ come se negli occhi degli altri riuscissi a riflettere me stesso. Con la fotografia ho una relazione da tantissimi anni, ero bambino quando per la prima volta entrai furtivamente nella camera oscura di mio padre, in sua assenza, e di nascosto da mia madre”. Provai ad inserire un “foglio”, l’immagine si impressionò subito su di esso e fu per me una gioia immensa.
Cosa ha significato per te, professionalmente ed emotivamente, essere l’autore delle fotografie del funerale di Togliatti?
“Andai ai funerali di Togliatti non per fotografare, ma per partecipare ad un grande evento, mi recai giorni prima della data stabilita, per scrutare, per osservare. Arrivarono persone da tutta l’Italia, ma anche dall’estero, in particolar modo dalla Svizzera.
Non immaginavo di vedere una stratificazione sociale così evidente, ricordo i loro sguardi che sembravano essere rivolti a me mentre ero tra la folla con loro, ma questa sensazione durava pochi secondi, quello che guardavano era solo quella grande e sentita emozione.
Tutti erano lì per lo stesso motivo, e non era il funerale o la funzione religiosa, ma il voler dare l’ultimo saluto ad un compagno.
Dai borghesi alle istituzioni, dagli artisti al popolo, non mancava proprio nessuno”.
Facciamo un viaggio, andiamo in America, qual è la tua fotografia preferita nei tuoi scatti americani?
“Forse non ne ho una preferita, ma semplicemente una di cui sono particolarmente geloso! Ritrae una fabbrica all’interno di uno stabile, dove ci sono muratori di colore bianco e committenti neri. Era evidente in questa foto un capovolgimento culturale, quella scena si impressionò nella mia macchina come il ritratto di un’umanità che cominciava ad essere rispettata”.
Cosa pensi della fotografia contemporanea, in che posizione ti poni nei confronti dei nuovi talenti?
“Tra i vari settori della fotografia, quello del reportage è di sicuro quello che più mi piace e che più seguo. Fotografare significa documentare e oggi è una ricchezza! Ma se dovessi dare un consiglio ai giovani fotografi direi che occorre senz’altro documentarsi, conoscere! Solo mettendo dentro la conoscenza può venire fuori qualcosa senza emulare, ma riuscendo ad esprimere quello che si ha da dire con consapevolezza”.
Aprile 2016
Felisia Toscano
Foto di Maria Di Pietro
Al teatro Trianon di Napoli: La Cantata dei Pastori di Peppe Barra
Il Teatro Trianon di Napoli si è trasformato in un magico regno natalizio grazie allo spettacolo straordinario di Peppe Barra, “La Cantata dei Pastori”. Questo capolavoro teatrale, rappresentato in uno degli ambienti più suggestivi della città, ha incantato il pubblico con la sua fusione di tradizione e talento artistico. Napoli è da sempre una città ricca di storia, cultura e tradizione, e la Cantata dei Pastori di Peppe Barra è una perfetta espressione di questo patrimonio. L’opera teatrale affonda le sue radici nelle antiche rappresentazioni natalizie popolari del Sud Italia, in particolare della Campania, dove il teatro si mescola con la spiritualità e la gioia tipiche del periodo natalizio. Il Teatro Trianon, con la sua eleganza e la sua storia affascinante, è la cornice ideale, l’atmosfera del luogo si è fusa con la performance di Peppe Barra, trasportando il pubblico in un viaggio indimenticabile attraverso le storie e le melodie della tradizione napoletana. La trama della Cantata dei Pastori è un affascinante intreccio di episodi tratti dalla vita quotidiana della Napoli del passato, con i pastori come protagonisti. Peppe Barra, figura carismatica e poliedrica della scena napoletana, ha portato in scena un’interpretazione coinvolgente dei personaggi, catturando l’essenza della vita tradizionale e portando in vita le antiche usanze. La colonna sonora, composta da melodie intrise di passione e nostalgia, ha contribuito a creare un’atmosfera unica. Gli spettatori si sono lasciati trasportare dalle note avvolgenti e dalle canzoni che evocano la bellezza dei momenti più semplici e genuini della vita. Ma ciò che rende veramente speciale la Cantata dei Pastori di Peppe Barra è la sua capacità di coinvolgere il pubblico in modo attivo. Lo spettacolo non è solo un’occasione per assistere a una performance straordinaria, ma anche per partecipare emotivamente e condividere un senso di appartenenza a una cultura ricca e viva. Lo spettacolo di Barra è stata una celebrazione della cultura napoletana, un’esperienza che ha fatto rivivere le tradizioni e la magia del Natale, dimostrando ancora una volta che il teatro può essere un potente mezzo per connettere le persone, preservare le radici culturali e creare momenti di gioia.
Testo e foto di Felisia Toscano