felisiatoscano

Picasso a Palazzo Te: un dialogo tra genio, mito e rock

Mantova, città dei Gonzaga e delle arti, ha aperto le porte di Palazzo Te ad un incontro straordinario: l’arte di Pablo Picasso dialoga con gli affreschi rinascimentali di Giulio Romano, in una mostra che trascende i confini del tempo e dello spazio. “Picasso a Palazzo Te. Poesia e Salvezza” è un viaggio nell’anima dell’artista spagnolo, un’immersione in un universo creativo che trova nella poesia e nella letteratura un rifugio e una fonte inesauribile di ispirazione. Le sale affrescate di Palazzo Te, con le loro figure mitologiche e le loro prospettive audaci, creano un palcoscenico ideale per ospitare le opere di Picasso. Le linee essenziali e le forme semplificate delle sue sculture e dei suoi dipinti entrano in un dialogo inaspettato con la monumentalità del Rinascimento, generando un’alchimia unica tra passato e presente. Come scrive la curatrice Annie Cohen-Solal, “Picasso a Palazzo Te non è solo una mostra, ma un’esperienza sensoriale che invita il visitatore a riflettere sulla natura dell’arte e sulla sua capacità di trasmettere emozioni e idee”.
La mostra ha avuto un’ospite d’eccezione: Patti Smith, la poetessa del rock, ha inaugurato l’esposizione nel giorno del suo concerto a Mantova. La rockstar americana, da sempre ammiratrice di Picasso, ha sottolineato il profondo legame che unisce l’artista spagnolo alla sua generazione. “Picasso ha aperto le porte a una nuova visione dell’arte”, ha dichiarato Patti Smith, “e la sua influenza si sente ancora oggi nella musica, nella letteratura e in tutte le forme di espressione creativa”. La mostra esplora il tema della poesia come fonte di ispirazione e di salvezza. Picasso, come molti artisti del suo tempo, ha trovato nella poesia un rifugio dalle turbolenze del mondo e un modo per esprimere la propria complessità interiore. Le sue opere, cariche di riferimenti letterari, ci invitano a leggere tra le righe, a scoprire i significati nascosti dietro le forme e i colori. Visitare la mostra “Picasso a Palazzo Te” è un’esperienza che va oltre la semplice contemplazione delle opere d’arte. È un viaggio nel tempo e nello spazio, un confronto tra culture e generazioni, una chiave di lettura del legame profondo tra Picasso e la poesia, che ci mostra un lato più intimo e profondo dell’artista, allo stesso tempo consacra la sua influenza sulla cultura contemporanea, testimoniata dalla presenza di Patti Smith. L’incontro tra il genio di Picasso e la bellezza di Palazzo Te è un evento che vale la pena di vedere.


Testo e foto di Felisia Toscano

15_1024x1013.jpg41_768x569.jpg

Patti Smith a Mantova: poesia e salvezza

Un concerto che ha travalicato i confini della musica, trasformandosi in un vero e proprio atto di speranza, di riflessione sull’arte e di libertà. Patti Smith, la sacerdotessa del rock, ha incantato il pubblico mantovano con un’esibizione che ha toccato le corde più profonde dell’anima. La scaletta, un viaggio attraverso la sua lunga carriera, ha offerto un mix perfetto di brani storici e gemme meno conosciute. L’apertura con “Ghost” ha subito creato un’atmosfera sospesa e malinconica, mentre “Summer Cannibals” ha infuso un’energia primitiva e vitale che ha subito trascinato il pubblico ad un abbraccio circolare pieno di passione. Ma è stato durante l’esecuzione di brani come “Redondo” e “Black Coat” che l’emozione ha raggiunto il culmine. Dedicati rispettivamente a Fred “Sonic” Smith e a Arthur Rimbaud, questi brani hanno rivelato l’anima più intima e profonda dell’artista. I suoi occhi chiusi, le mani che danzavano lievi a disegnare musica e vita. Un tocco particolarmente emozionante è stato l’omaggio a due figure iconiche: Pier Paolo Pasolini e Kurt Cobain. Con la sua voce graffiante, Patti Smith ha interpretato una poesia di Pasolini, trasformandola in un canto intenso e struggente. A Cobain, invece, ha dedicato una versione intensa e personale di uno dei suoi brani più celebri, sottolineando l’importanza della sua eredità musicale. Non poteva mancare un appello alla pace, la stessa che si invocava in passato, che ancora oggi si ha necessità di implorare… Patti Smith ha colto l’occasione per lanciare un messaggio forte e chiaro contro la violenza e le guerre che affliggono il mondo. Attraverso le sue canzoni e le sue parole,ha invitato il pubblico a riflettere sul valore della pace, dell’amore e della solidarietà, senza banalità, ma un sentire ad occhi chiusi vibrando sulla pelle di ognuno. “Utilizziamo il Potere per creare un mondo migliore”. Le ultime canzoni, “Dancing”, “Poem Peaceable”, “Pissing Teen Sarit” e la conclusiva “People”, sono state un inno alla vita, alla libertà e alla speranza. Un invito a non perdere mai la fiducia nel futuro e a continuare a lottare per un mondo più giusto e equo. La sacerdotessa del rock, ha incantato tutti e tutte, con un concerto che ha trovato la sua naturale cornice nell’inaugurazione della mostra “Picasso: Poesia e Salvezza”. La scelta di far coincidere il concerto di Patti Smith con l’apertura della mostra dedicata a Picasso non è stata casuale. Entrambi gli artisti, pur appartenendo a generazioni e a linguaggi espressivi diversi, condividono una profonda passione per la poesia, la libertà creativa e la ricerca di un senso più profondo dell’esistenza. La sua eredità artistica continua a ispirare nuove generazioni di musicisti e poeti. La sua voce, rauca e graffiata, è un invito a non conformarsi, a seguire i propri sogni e a lottare per ciò in cui si crede. In un mondo sempre più complesso e frammentato, la musica di Patti Smith rappresenta un faro di luce, un invito a ritrovare la nostra umanità e a costruire un futuro migliore per tutti. La sua musica, come l’arte di Picasso, rappresentano un messaggio di speranza e di unità. Entrambi gli artisti, attraverso le loro opere, ci invitano a guardare oltre le apparenze, a cercare la bellezza nelle cose semplici e a credere in un futuro migliore. Il concerto di Mantova è stato un’esperienza indimenticabile, un momento in cui la musica e l’arte si sono fuse in un abbraccio perfetto, dando vita ad un’emozione che rimarrà per sempre nel cuore di chi ha avuto la fortuna di esserci.
Noi eravamo lì, e come per magia, siamo ancora travolte da ogni vibrazione della sua voce.


Testo e foto Maria Di Pietro e Felisia Toscano

1_copertina_768x1024.jpg4.jpg5.jpg22_480x600.jpg

Jenny Saville e la sua meravigliosa arte a Firenze

Immagini potenti e delicate allo stesso tempo, la sofferenza del vivere quotidiano viene espressa senza giri di parole nelle opere di Jenny Saville ma, con una delicatezza mai vista prima.
Arriva a Firenze con una mostra diffusa, il fulcro del progetto è esposto al Museo Novecento ma, altre opere si trovano tra Museo di Palazzo Vecchio, Museo dell’Opera del Duomo, Museo degli Innocenti e Museo di Casa Buonarroti.
Ritratti colorati e rappresentazioni del corpo sono un’espressione continua dell’arte della Seville; l’artista inglese debuttò nel gruppo degli Young British Artists circa trent’anni fa ed oggi risulta essere una tra le artisti donne più influenti e costose al mondo.
Numerosissimi i riferimenti ad artisti del calibro di Lucien Freud, Graham Sutherland, Tiziano e persino Rubens, la Saville si snoda tra l’astratto e il figurativo, un umanesimo contemporaneo che riporta al centro dell’attenzione la figura, sia un corpo oppure un volto, ciò che le si ostina a raffigurare sono le forze che animano ognuno di noi.
Il percorso espositivo mostra come l’influenza dei maestri del Rinascimento italiano abbiano segnato la sua arte, un capitolo importante è rappresentando da Le Pietà con evidenti riferimenti ai grandi capolavori di Michelangelo.
Accanto alla Pietà Bandini, troviamo un disegno di grande formato a cui l’artista londinese ha iniziato a dedicarsi dopo un sopralluogo a Firenze.
Dipinti ma, anche ritratti dal tratto incredibilmente profondo e con non poche assonanze alla ritrattistica di Pablo Picasso e Francis Bacon.
Nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio viene esposta l’opera monumentale di maggior risonanza, Fulcrum (1998-99), che consacrò definitivamente Jenny Saville con la sua prima mostra personale, Jenny Saville: Territories alla Gagosian Gallery nel 1999.
La concezione della figura femminile, invece, in relazione alla maternità la troviamo nei due dipinti esposti presso la Pinacoteca del Museo degli Innocenti.
Un meraviglioso percorso espositivo che sarà possibile visitare solo fino al 20 febbraio e che vi consigliamo assolutamente di non perdere.


Testo e foto di Felisia Toscano

31_1_819x1024.jpg

Kunsthaus di Zurigo: viaggio nella meraviglia

Il fascino della città di Zurigo cattura immediatamente, non appena ci si avvicina alle sponde del fiume Limmat che attraversa e abbraccia la città regalando un panorama suggestivo e romantico.
Una città ricca di eventi culturali, iniziative e soprattutto di arte.
Assolutamente da non perdersi è la visita ad uno dei musei più importanti della città, la Kunsthaus, progettato da Karl Moser e Robert Curjel, e costruito nel 1910 che raccoglie le più importanti opere dal Medioevo al ventesimo secolo. altri.
Un affascinante edificio che si sviluppa su tre piani con circa 4000 opere e diviso in numerose sotto-sezioni: pittura Tardo Gotica; pittura Olandese e Fiamminga, con opere di Rembrandt, Rubens, van Dyck e Jan Brueghel il Vecchio; il Barocco Italiano e Settecento Veneziano, dove troviamo tra gli altri di Domenichino, Canaletto, Guardi e Bellotto; la pittura Svizzera, con Hodler, Segantini, Vallotton, Giovanni e Augusto Giacometti; l’Impressionismo e Post-Impressionismo, con capolavori di Géricault, Manet, Monet, Cézanne, van Gogh e Bonnard; l’Espressionismo Nordico con lavori di Edvard Munch e di Oskar Kokoschka; l’Arte Moderna, con opere di Mondrian, Klee, Chagall, Léger, Matisse e Picasso; una corposa sezione dedicata a Giacometti ; Arte dal 1945 ai giorni nostri. La Kunsthaus di Zurigo presenta anche un’importante selezione di disegni e grafica, con oltre 80.000 pezzi e una grande collezione fotografica con immagini di Man Ray, Duchamp, Robert Frank, Henri Cartier-Bresson, Alfred Stieglitz, Constantin Brancusi, Maurizio Cattelan.
La Kunsthaus Zurich oltre all’importante collezione permanente, organizza mostre temporanee di alto livello, visite guidate, laboratori per adulti e bambini e numerosi eventi speciali.
Non vi sveliamo altro, vi suggeriamo solo di farci un salto se si ha voglia di visitare uno tra i posti più belli della Svizzera.


Felisia Toscano

5_1024x768_1.jpeg

Ancora pochi giorni per visitare la mostra di Botero a Bologna

La location è spettacolare, la mostra meravigliosa.
E’ Palazzo Pallavicini che ospita nelle sue affrescate e meravigliose sale, fino al 26 gennaio, la mostra di Fernando Botero.
Quasi scherzosamente, l’associazione che viene fatta quando si sente il nome di Botero è identificarlo come il pittore che dipinge le donne “grasse” ma, come lui spesso ha precisato la sua è sempre stata una ricerca del volume che si esprime attraverso le forme.
Botero, infatti, deforma i corpi ampliandone le dimensioni, raffigura una rotondità che risulta sempre armoniosa, piacevole da guardare.
Così come sono piacevoli le sue 50 opere in mostra che formano un percorso espositivo diviso in 7 sezioni.
La prima sezione s’intitola “Vita” e racconta le persone normali, musicisti, ladri, guardie, l’artista con le sue opere riporta la condizione umana, rendendo la forma l’unica protagonista; la seconda sezione è “Religione”, dipinge la dimensione ecclesiastica attraverso la raffigurazione di tuniche e sacerdoti; la terza sezione è “Nudi” per i quali prende spunti dal pittore Dorè e attraversi cui esprime la sua idea di sensualità esaltando il corpo femminile dal punto di vista concettuale; la quarta sezione è “Nature morte” che sono le opere più sconosciute dell’artista colombiano; la quinta sezione è “Circo” ricca dei dipinti più recenti dell’artista, tema affrontato anche da Renoir, Chagall e anche da Picasso, dove i circensi sono raffigurati nella loro vita di spettacoli e precarietà, la penultima sezione è “Colore” dove troviamo solo forma e colore e ogni cosa appare semplicemente per quella che è; infine, c’è la “Tauromachia” che tra l’altro è una disciplina che anche Botero svolse da ragazzo e racconta la metafora tra la vita e la morte.
La mostra di Botero a Bologna è un originale racconto dei suoi colori e delle sue forme che si traducono perfettamente nell’arte che da sempre lo contraddistingue.
“Non dipingo donne grasse. Nessuno ci crederà, ma è vero. Ciò che io dipingo sono volumi. Quando dipingo una natura morta, dipingo sempre un volume. Se dipingo un animale, lo faccio in modo volumetrico e lo stesso vale per un paesaggio. Sono interessato al volume, alla sensualità della forma. Se io dipingo una donna, un uomo, un cane o un cavallo, ho sempre quest’idea del volume e non ho affatto un’ossessione per le donne grasse”.


Felisia Toscano

n.png

Modigliani torna nella sua Livorno

Amedeo Modigliani nel centenario della sua morte torna a Livorno con una mostra straordinaria.
Nei quartieri di Montparnasse e di Montmartre Modigliani aveva stretto amicizia con Apollinaire, Guillaume, Derain, Utrillo e soprattutto con Soutine e la mostra organizzata nella città livornese ripercorrere le tracce pittoriche di questi artisti che animavano i quartieri parigini all’inizio del Novecento.
Soutine, in particolare, fu il suo compagno di miseria, per lui Modigliani era il modello ideale e nella mostra ospitata dal Museo della città è emozionante vedere la vicinanza dei loro dipinti, così come lo furono in vita, che conduce attraverso il percorso espositivo da lui a Modigliani.
Amedeo era prigioniero dell’alcol e delle droghe, sfidava ogni giorno la morte cercando nell’arte una via di fuga al suo tragico destino, il suo rivale di sempre fu Pablo Picasso che lo ammirava e lo odiava allo stesso tempo, la sua arte è stata la sua salvezza e anche la sua distruzione.
Gli artisti maledetti, squattrinati, erano coloro che popolavano i quartieri parigini e che allietavano gli occhi con la divulgazione dell’arte, quella fiamma che costantemente bruciava nelle loro anime per culminare nel tocco del pennello sulla tela.
All’interno della mostra solo di Modigliani è possibile ammirare ben 14 dipinti e 12 disegni raramente esposti al pubblico, ai quali si arriva tra la folla e l’emozione degli osservatori.
Molti degli artisti in esposizione sono legati a Jonas Netter che volle acquistare le loro opere percependo subito il grande valore della loro arte.
Le donne di Modigliani, i suoi “non-occhi”, i colori, i dettagli… sono un insieme di elementi imprescindibili dal suo tratto artistico, dalla sua riconoscibilità.
Modì, così fu soprannominato, entrò ben presto a far parte delle avanguardie, aveva una personalità impulsiva con scatti di rabbia tanto che una volta si picchiò con l’artista Utrillo per decidere chi dei due fosse il pittore migliore.
Altro protagonista importantissimo della sua vita è l’amore, tra tutte la sua relazione con Jeanne Hébuterne, ritratta in numerosissimi dipinti, all’inizio fu ostacolata dai genitori di lei, il loro fu un amore difficile, passionale anche se le condizioni di vita precarie in cui erano ridotti e lo stile di vita di Modigliani, ben presto lo condannarono alla tubercolosi che lo ridusse in fin di vita dopo le ultime ore di delirio accanto alla sua Jeanne.
Ventiquattro ore dopo, Jeanne, fedele fino alla fine nonostante la sua gravidanza al nono mese, si gettò da una finestra al 5 piano per non rimanere sola in una vita che senza il suo Amedeo forse non aveva senso vivere.
La mostra “Modigliani e l’avventura di Montparnasse” è un viaggio nella vita e nelle opere dell’artista livornese che merita di essere fatto.
Il curatore Marc Restellini dichiara: “Qui a Livorno Amedeo Modigliani ha sviluppato la sua capacità creativa e lo spiritualismo ebraico e qui a Livorno mi auguro che la storia, e non solo il mercato, possano approfittare di questa meravigliosa opportunità per dargli la giusta posizione nella storia dell’arte occidentale.”
E’ stata organizzata dal Comune di Livorno insieme all’Istituto Restellini di Parigi con la Fondazione Livorno e sarà visitabile fino 16 febbraio 2020.


Felisia Toscano

l.png

Van Gogh, Monet, Degas in mostra a Padova

Una preziosa selezione di opere è in mostra a Palazzo Zabarella in pieno centro a Padova, un’esposizione che copre un arco temporale che va dalla metà dell’Ottocento ai primi decenni del Novecento con opere e nomi di grande lustro.
La mostra curata da Colleen Yarger consta di 73 opere che si dividono tra impressionismo, romanticismo e cubismo, Bonnard, Monet, Cezanne, Gauguin, Matisse, Renoir sono solo alcuni dei grandi autori presenti, un percorso artistico capace di emozionare e arricchire nello sguardo e nel cuore il visitatore, in una location esclusiva.
Le opere arrivano dalla Mellon Collection of French Art dal Virginia Museum of Arts, uno dei più importanti mecenati del Novecento insieme alla moglie ‘Bunny’ Lambert.
Tra i dipinti in mostra ricordiamo: il Campo di papaveri di Monet, il Campo di grano di Van Gogh, la Cassettiera cinese di Picasso, la Finestra chiusa di Matisse… ampio spazio è dedicato anche ai ritratti e a dipinti con figura umana, come quelli dei maestri Gustave Courbet, Edgar Degas, Claude Monet, Pierre-Auguste Renoir, tra questi spicca A Man Docking His Skiff (Uomo che ormeggia la propria barca) di Gustave Caillebotte, nel quale l’artista rivela la sua grande capacità nel cogliere le macchie di luce e di ombra.
Oltre ai quadri, Bunny Mellon aveva una particolare passione per l’arredo, motivo per il quale le pareti della sua casa, da sempre, furono arredate con rigore e raffinatezza per accogliere importanti ospiti come il Principe del Galles o la regina Elisabetta II d’Inghilterra.
La Fondazione Bano con questa mostra prosegue il progetto intrapreso volto a presentare alcune delle collezioni private più importanti al mondo, come già successo precedentemente con la rassegna dedicata a Mirò, a Gauguin e gli altri Impressionisti dello Stato danese.
“Van Gogh, Monet Degas” sta già riscuotendo un grande interesse e sarà visitabile fino al 1 marzo 2020.

Felisia Toscano

ookk.png

Quando l'Avanguardia è donna: Natalia Goncharova

E’ stata inaugurata da circa un mese e già nell’aria aleggia grande ammirazione per la mostra realizzata da Palazzo Strozzi che sembra ormai non sbagliare un colpo.
Dopo la mostra di Marina Abramovic un’altra donna dalla personalità forte fa conoscere la sua arte.
Vittima di censura persino ad agosto 2019, quando alla pubblicazione di un video promozionale sulla sua mostra Instagram ha censurato il contenuto perché conteneva troppe nudità femminili, subito con la memoria si è tornati a quando Natalia Goncharova destò scalpore e critiche con i suoi dipinti di donne nude.
Ben 130 sono le opere in mostra che ripercorrono la vita dell’artista e la sua produzione a confronto con i grandi nomi dell’arte, punti di riferimento per lei, come Gaugain, Matisse, Picasso, Boccioni.
Il percorso attraverso i suoi dipinti consente al visitatore di scoprire una donna che, senza remore, ha cercato di unire la tradizione con l’innovazione, altra importante figura nella sua vita e nella sua arte è anche quella del compagno, nonché pittore, Mikhail Larionov.
La Goncharova è stata una donna dai tratti forti e distinti, tali da venir fuori in modo autentico nelle sue pennellate, lei che nel 1910 a Mosca fu anche processata e assolta per pornografia per aver esposto i suoi dipinti di nudo.
Una donna scomoda, vittima della censura ma con un grande fervore artistico, pittrice ma anche costumista, stilista, attrice, scenografa, grafica… la Goncharova può essere definitiva poliedrica.
Dopo la Rivoluzione d’ottobre lei e Larionov lasciarono la Russia e si trasferirono definitivamente a Parigi dove trascorsero il resto della loro vita insieme anche se il loro non fu un grande amore anzi, si sposarono solo per tutelare la loro eredità artistica.
Tra le principali opere esposte troviamo l’Autoritratto con gigli gialli, la tela Contadini che raccolgono mele e il polittico della Mietitura.
La mostra visitabile fino al 12 gennaio 2019 è stata curata da Ludovica Sebregondi, Fondazione Palazzo Strozzi e Matthew Gale, Head of Displays, Natalia Sidlina, Curator, International Art, Tate Modern.


Felisia Toscano

k.png

"Da Magritte a Duchamp" a Palazzo Blu

Nel 1924, con la stesura del primo Manifesto del Surrealismo viene confermata la nascita del movimento surrealista, suo principale ideatore è André Breton, intellettuale, poeta, saggista e critico d’arte francese.
Tra gli altri artisti ed intellettuali del movimento troviamo Jaques Prevért, Renè Magritte, Salvador Dalì, Joan Mirò e molti altri. Come afferma Breton “il movimento è spinto da un’energia nuova, è un cambiamento vero e proprio che sarà alla base della rivoluzione surrealista.” Riconsiderazione del sogno, della fantasia e dell’immaginazione come strade che conducono alla conoscenza più pura poiché libere da qualsiasi contaminazione.
E’ questo lo scenario all’interno del quale nascono le più importanti opere in esposizione a Palazzo Blu di Pisa che, con la mostra “Da Magritte a Duchamp. 1929, il Grande Surrealismo dal Centre Pompidou”, suggellano il decimo anno di attività della Fondazione. Per la prima volta in Italia, l’istituzione francese ha concesso la partenza di grandi capolavori di cui difficilmente fa a meno, essendo esposti nella collezione permanente del Centre Pompidou. Circa centocinquanta opere meravigliose, tra sculture, disegni, fotografie, pitture, documenti, che si susseguono in un percorso curato da Didier Ottinger, uno dei massimi studiosi del Surrealismo.
Renè Magritte, Salvador Dalì, Marcel Duchamp, Giorgio De Chirico, Pablo Picasso, Joan Mirò sono solo alcuni degli artisti che con il loro apporto hanno contribuito alla nascita e alla diffusione del movimento surrealista. L’arte spesso è magia e, nel caso delle opere in mostra, è sufficiente addentrarsi all’interno della sale espositive e guardarsi intorno per sentirsi catapultati in realtà capaci di arrivare a mondi immaginari.
“La mente ama l’ignoto. Ama le immagini il cui significato è sconosciuto poiché, il significato della mente stessa è sconosciuto.” – R. Magritte


Testo e foto di Felisia Toscano

1.png

Bellezza Divina: viaggio nell'arte sacra

Testimonianza di quasi un secolo di Arte Sacra, la mostra racchiude opere realizzate dagli Anni Ottanta dell’800, fino all’Anno Santo, indetto nel 1950. Opere celebri accostate ad artisti meno noti che offrono una significativa panoramica sugli artisti dell’arte moderna nel contesto italiano e internazionale.
Da Morelli a Chini, da Guttuso a Fontana, per poi fermarsi su Van Gogh, Munch, Picasso, Chagall.Curata da Lucia Mannini, Anna Mazzanti, Ludovica Sebregondi e Carlo Sisi, l’esposizione focalizza l’attenzione sull’indagine del rapporto di reciproca dipendenza tra Arte e Sacralità. Un tripudio di nomi, di colori, di bellezza, per riscoprire quel dialogo “silenziato” fra gli artisti e il mistero del divino, da sempre fonte di ispirazione per chi crea.
Attraverso sezioni dedicate ai temi centrali della riflessione religiosa e artistica, la mostra costituisce un’occasione straordinaria per confrontare insieme opere celeberrime studiate da un punto di vista inedito. E proprio alcune di esse rappresentano il cuore pulsante che attrae magneticamente l’osservatore. La “Pietà” di Van Gogh è di sicuro l’opera più scrutata e ammirata in questo percorso espositivo, ma una notevole attenzione è riservata anche ai colori di Felice Casorati con la sua “Preghiera” che avvolge i visitatori in un miscuglio di emozioni e sensazioni.
Altra grande protagonista è la “Crocifissione” di Chagall, un esempio palese della violenza e del dolore che non è più solo del personaggio biblico, bensì in quello universale. Tra gli italiani in mostra, rilevante attenzione è rivolta a Renato Guttuso e alla sua “Crocifissione”, opera espressiva e dai toni rivoluzionari per la cruda nudità dei personaggi.
L’esposizione nasce da una collaborazione della Fondazione Palazzo Strozzi con l’Arcidiocesi di Firenze, l’Ex Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze e i Musei Vaticani, e si inserisce nell’ambito delle manifestazioni organizzate in occasione del V Convegno Ecclesiale Nazionale.

Testo e foto di Felisia Toscano
articolo pubblicato su http://www.memecult.it

foto1.jpgfoto3.jpg

search
pages
ITA - Informativa sui cookies • Questo sito internet utilizza la tecnologia dei cookies. Cliccando su 'Personalizza/Customize' accedi alla personalizzazione e alla informativa completa sul nostro utilizzo dei cookies. Cliccando su 'Rifiuta/Reject' acconsenti al solo utilizzo dei cookies tecnici. Cliccando su 'Accetta/Accept' acconsenti all'utilizzo dei cookies sia tecnici che di profilazione (se presenti).

ENG - Cookies policy • This website uses cookies technology. By clicking on 'Personalizza/Customize' you access the personalization and complete information on our use of cookies. By clicking on 'Rifiuta/Reject' you only consent to the use of technical cookies. By clicking on 'Accetta/Accept' you consent to the use of both technical cookies and profiling (if any).

Accetta
Accept
Rifiuta
Reject
Personalizza
Customize
Link
https://www.felisiatoscano.it/pubblicazioni-d

Share on
/

Chiudi
Close
loading